Io ho notato subito i sandaletti…

Oggi ci concentreremo sulla corretta interpretazione di una pelike del pittore Myson e, grazie a essa, approfondiremo gli aspetti cultuali ad essa legati, in particolare le feste Aloe in onore di Demetra.

Iniziamo…

Su Facebook condivido le cosiddette “pillole ceramiche”, nelle quali, prendendo spunto da citazioni di fonti antiche o giocando con un pizzico di ironia, pubblico esemplari ceramici, la relativa scheda e, anche grazie al confronto e ai commenti dei followers, tutti i dettagli per comprenderli appieno.

Una delle pillole che ha riscosso più successo è la seguente:

 

 

Tra la scena irriverente e il titolo ironico da me dato, le reazioni dei followers sono state per fortuna positive!

Certo, qualcuno si è scandalizzato, ma come non postare una tale meraviglia?

Cerchiamo di capire insieme di cosa si tratta!

Partiamo, come sempre, dalle basi: la pelike attica a figure rosse ARV² 238.5 è opera del pittore Myson, datata al 500-475 a.C. e conservata al Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi di Siracusa, inv. 20065.

[Per la scheda relativa nell’Archivio Beazley, clicca qui.]

Sul lato principale è rappresentata una scena erotica in cui una donna, con indosso solo sakkos sulla testa e sandali, che entra in una cesta piena di falli.

[Se vuoi approfondire il vestiario delle donne di età greca, ti consiglio ti consiglio la lettura dell’articolo Sulle vesti e gli accessori femminili]

Sul lato secondario è, invece, una scena domestica, in cui una donna si accinge a detergersi. Di fronte ad essa vi è un grande recipiente, un cratere a campana. posto su un blocco, le vesti e le calzature sono collocati su uno sgabello (un diphros) alle sue spalle e sospesi vi sono i tipici utensili per la detersione del corpo, uno strigile e una spugna. Anche qui la donna è nuda e indossa solo un sakkos in testa.

 

Pelike ARV² 238.5. Myson (500-475 a.C.). Siracusa, Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi, inv. 20065. Foto da Archivio Beazley.
Concentriamoci sul lato principale. Cosa fa e chi è quella donna con la cesta piena di falli?

La scena, considerando la gamba sinistra flessa all’interno del cesto, mostra una donna che, oltre a ritirare quei membri, sta entrando in esso o sta ritraendo l’arto da esso. Potrebbe rappresentare una metafora di un’etera che si accinge a iniziare o a concludere il proprio turno lavorativo, se mi concedete l’espressione poco garbata…

Ma in realtà è molto di più…

In Panvini, R. – Giudice, F. (a cura di), Ta Attika, Veder greco a Gela, L’Erma di Bretschneider, Gela-Siracusa-Rodi 2004, p. 153, leggiamo:

«La provenienza precisa della pelike di Myson, Siracusa 20065, è purtroppo ignota. Un’etera nuda sul quadro principale, si china verso una cesta dalla quale ritira grossi falli, probabilmente di terracotta o forse di pasticceria, e ci fa partecipe così alla preparazione delle feste Aloe in onore di Demetra. Ora ben conosciuta l’importanza di questo culto a Gela, dove i Dinomenidi erano tradizionalmente gli erofanti della dea. Se il vaso di Myson ha contenuto delle ossa, quel morto, o quella morta, si  trovava così sotto la protezione particolare della grande divinità ctonia.»

La studiosa Juliette de La Genière, quindi, afferma una connessione rituale con le feste Aloe e sottolinea la natura ceramica o pasticcera dei falli.

Tale interpretazione si trova anche nel Corpus Vasorum Antiquorum Siracusa 1, III.I.5, pl .(821) 7.1-2, dove lo studioso Paolo Enrico Arias scrive:

«Quanto alla scena si crede che l’etera tolga delle focacce a forma di falli, quali erano in uso nelle feste in onore di Demetra, le Maloa

 

Analizziamo queste feste e vediamo di cogliere anche noi la connessione con l’immagine sul vaso.

Le feste Aloe (‛Αλῷα), o feste delle aie, erano celebrate ad Eleusi e ad Atene in onore di Demetra, Persefone e Dioniso, divinità legate all’agricoltura e alla prosperità della terra.

Erano celebrate nel mese di Posideone (dicembre-gennaio), dopo la vendemmia e il raccolto e quindi nel periodo di riposo per il lavoro agricolo, per ringraziare le divinità.

Si sa che comprendevano cerimonie mistiche, alle quali le donne erano le sole a parteciparvi.

 

Leggiamo l’esaustiva descrizione che ne fa Walter Burkert nell’opera La religione greca di epoca arcaica e classica (ed. it. a cura di G. Arrigoni, Jaca Book, Milano 2010), pp. 479-480:

«Si sacrifica, si banchetta e ci si diverte all’aperto, sulle aie, fra i campi; si sacrifica alla «Terra, nelle campagne» una mucca gravida: il seme che cresce la vita embrionale sono evidentemente in rapporto fra loro e, secondo la logica paradossale del sacrificio, si deve uccidere l’una per favorire l’altro. Vi è una processione con il sacrificio di un toro per Poseidone. Poi, ad Eleusi, le donne s’incontrano per una segreta festa notturna: esse trascinano falli artificiali e si danno a conversazioni sfrenatamente indecenti, mentre i tavoli sono ricoperti di ogni sorta di cibo, in particolare focacce a forma di genitali; sono proibiti però melegrane e mele, polli, uova e certi pesci. La festa sembra così stare in opposizione all’abituale culto di Demetra-Persefone, così come la sfrenata vitalità, che la contraddistingue, è in contrasto con la quiete invernale.»

Anche Burkert sottolinea, quindi, la natura artificiale di questi falli: sia in materiali non meglio identificati («esse trascinano falli artificiali») sia commestibili («focacce a forma di genitali»).

 

Cosa possiamo dedurre?

Il reperto vascolare presentato in questa sede è testimonianza dei culti, riti e credenze religiose greche ed esemplificativo della potenza iconografia della produzione vascolare attica. Liquidare questa pelike come oscena non rende giustizia all’arte di Myson e pone un limite oggettivo alla corretta interpretazione e fruizione di un’opera d’arte tra le più rappresentative dell’epoca classica.

Prima regola in iconografia: mente aperta e occhi attenti, sempre e comunque…

Seconda regola: continuare a leggere i miei articoli e rimanere sempre aggiornati sulla pagina Facebook!

Vi aspetto…

 

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